Infedele
patrocinio del difensore e vizio del consenso dell’imputato
L’imputato ****, odierno appellante,
invoca “rimessione in termini” per i seguenti motivi.
Come già ampliamente detto il sig. ****
è vittima di patrocinio infedele da parte del suo difensore, in primo grado,
Avv. **** del Foro di ****.
Detta infedeltà è consistita
principalmente nelle seguenti omissioni volontarie:
- Aver omesso di valutare e ponderare le
prove a favore, nonché i testi indicati dall’imputato;
- Aver omesso di spiegare efficacemente
all’imputato il significato di “Rito Abbreviato Puro”, consistente
nell’accettazione delle indagini effettuate dal P.M., senza potervi opporre
alcuna contestazione, in cambio di un’agevolazione premiale in termini di sconto
di pena.
- Aver omesso di consigliare il rito
abbreviato condizionato all’ammissione delle prove a favore del proprio
assistito
- Aver omesso di concordare con il cliente
le affermazioni che questi avrebbe potuto rendere all’esito del processo.
- Aver omesso di presentare ricorsi ed
istanze in favore del proprio assistito gravato da misure cautelari
restrittive.
- Aver omesso di fare copia dell’intero
fascicolo del Pubblico Ministero e di averlo sottoposto all’attenzione del
proprio assistito per una scelta ponderata e consapevole del rito.
Ebbene, il sig. ****, fidandosi
ciecamente del proprio difensore di fiducia, ha accettato inconsapevolmente e
senza cognizione di causa di aderire al rito abbreviato, peraltro puro, ovvero
non condizionato all’ammissione di alcuna prova determinante.
L’evento del reato di patrocinio
infedele va identificato con il
nocumento arrecato al patrocinato senza che, peraltro, sul piano
soggettivo, assuma rilievo la volontà specifica di nuocere alla parte. (Cass. Sez. VI n. 189794/1992 in commentario
breve al Codice Penale, Crespi-Stella-Zuccalà, Edizione Cedam).
Il delitto è punito sotto il profilo
soggettivo, a titolo di dolo generico,
non essendo richiesto, per la sua configurabilità, che l’imputato si proponga
un fine particolare, ma essendo sufficiente la coscienza e volontà di compiere
un’azione o un’omissione contraria ai propri doveri professionali (Cass.
Sez. VI n. 133119/1976 in commentario breve al Codice Penale,
Crespi-Stella-Zuccalà, Edizione Cedam).
Il delitto di cui all’art. 380 comma 1
c.p. è un reato che richiede per il suo perfezionamento, in primo luogo, una
condotta del patrocinatore irrispettosa dei doveri professionali stabiliti per
fini di giustizia a tutela della parte assistita ed, in secondo luogo, un evento
che implichi un nocumento agli interessi dei quest’ultimo, inteso questo non
necessariamente in senso civilistico di danno patrimoniale, ma anche nel senso
di mancato conseguimento dei beni giuridici o dei benefici di ordine anche solo
morale, che alla stessa parte sarebbero potuti derivare dal corretto e leale
esercizio del patrocinio legale. D’altro canto la condotta illecita può
consistere anche nell’occultamento di notizie o nella comunicazione di notizie
false o fuorvianti nel corso del processo; a sua volta l’evento può essere
rappresentato anche dal mancato conseguimento di vantaggi formanti oggetto di
decisione assunte dal Giudice nelle fasi intermedie o incidentali di una
procedura (Cass. Sez. VI n. 204509/1995 in commentario breve al Codice Penale,
Crespi-Stella-Zuccalà, Edizione Cedam).
La configurabilità del reato di patrocinio
infedele presuppone, quale elemento
necessario ed imprescindibile, in quanto costitutivo della fattispecie
incriminatrice, la pendenza di un
procedimento nell'ambito del quale trova realizzazione la violazione degli
obblighi assunti con il mandato, mentre non è richiesto che la condotta si
estrinsechi in atti o comportamenti processuali. Ferma restando, dunque, la
natura di reato a forma libera del delitto previsto dall'art. 380 c.p., che, pertanto, può sostanziarsi anche
in condotte infedeli non strettamente di natura endoprocessuale, è tuttavia
necessaria la pendenza di un processo, nell'ambito del quale deve realizzarsi
la violazione, da parte del professionista, degli obblighi di mandato.
Il significato della condizione
indefettibile “della pendenza di un procedimento” per potersi parlare di
patrocinio infedele, presupporrebbe che il Legislatore si sia posto il quesito
di quali garanzie apprestare in corso di causa per tutelare il “diritto di difesa” costituzionalmente
garantito.
Ebbene, nel caso di specie, l’appellante
invoca la soluzione della rimessione in termini sotto il profilo del c.d. “vizio
del consenso”, poiché la scelta del rito da parte dello stesso non è il
frutto di una scelta consapevole e ponderata.
Sul punto, sulla scorta
di quanto affermato dalla CEDU (Corte Europea Diritti dell’Uomo), nella
vertenza 18/10/2006, Hermi contro Italia, che la “domanda di accesso al giudizio abbreviato rappresenta, infatti, l'espressione
di una scelta consapevole e ponderata caratterizzata
dalla volontaria accettazione della riduzione delle garanzie conseguente
all'adesione al rito speciale in cambio di una consistente riduzione della pena
in caso di condanna”
Del resto, già in
precedenza, la Cassazione aveva rilevato tale circostanza constatando che, con
la richiesta di giudizio abbreviato, “l'imputato
non soltanto rinuncia ad avvalersi delle
regole ordinarie in cambio di un trattamento sanzionatorio più favorevole
attraverso l'applicazione della diminuente di un terzo, ma accetta che rientrino nel novero delle risultanze probatorie
utilizzabili tutte le emergenze acquisite anteriormente alla sua istanza e
legittimamente confluite nel fascicolo del p.m., comprese le dichiarazioni da
lui rese in assenza del difensore” [Cass. pen., sez. I, 14/04/99, n. 63021].
Alla luce di tale
compromissione delle guarentigie difensive, il Supremo Consesso, anche sulla
scorta della nota sentenza “Scoppola”, ha osservato che la rinuncia al rito ordinario (scaturente dalla scelta di adire il
rito abbreviato), affinchè possa considerarsi
valida e legittima, deve essere “spontanea ed inequivoca” [CEDU, Scoppola
contro Italia, 17.9.2009]
La specialità del rito
abbreviato consiste nel fatto che “l'imputato,
esaminato l'intero fascicolo del p.m., ritenga conveniente per lui essere giudicato
sulla base degli atti ivi contenuti” [Corte di Appello Brescia, 13/03/00, fonti:
Arch. nuova proc. pen. 2000, 432] mentre il giudice, dal canto suo, “deve accogliere la richiesta limitandosi a
verificare la sussistenza dei requisiti formali” [Claudia
Grilli, “Illegittima o abnorme la revoca del giudizio abbreviato allo stato degli
atti?”, Cass. pen., 2006, 7-8, 2503].
Quindi, una volta
appurato che detta scelta deve essere il frutto di una valutazione personale
dell’imputato, si tratta di stabilire se, come suesposto, una decisione di
questo tipo sia revocabile qualora sia stata erroneamente adottata
dall’imputato.
A favore di tale
soluzione interpretativa, soccorre la
giurisprudenza comunitaria che, come suesposto, ha ammesso come sia possibile rinunciare al rito ordinario nella misura
in cui detta scelta sia consapevole [Cfr. Hany contro Italia, 6 novembre 2006 (n.
17543/05); Poitrimol c. Francia, 23 novembre 1993 (n. 14032/88)].
L’art. 6, co. III,
lett. a), CEDU, peraltro, sancisce il diritto dell’accusato di essere informato
del contenuto dell’accusa elevata contro di lui in una lingua a lui
comprensibile così come, di analogo tenore, è quella “contenuta nell'art. 14,
terzo comma, lettera a), del Patto internazionale relativo ai diritti civili e
politici, patto che è stato firmato il 19 dicembre 1966 a New York ed è stato
reso esecutivo in Italia con la legge 25 ottobre 1977, n.88” [Cfr. Hany c.
Italia, 6 novembre 2006 (n. 17543/05); Poitrimol c. Francia, 23 novembre 1993
(n. 14032/88)].
Al pari
dell’incomprensione della lingua italiana (da parte dello straniero) deve porsi
l’incomprensione del significato delle parole italiane trasfuse nelle leggi
penali dello Stato.
Anche il cittadino italiano può non
essere in grado di comprendere il significato delle parole come “rito
abbreviato”.
Tra l’altro, anche il
Giudice delle leggi, ha evidenziato che, una opzione di siffatto tipo, può
avvenire solo nella misura in cui “l’imputato
abbia ben chiari i termini dell’accusa mossa nei suoi confronti” posto che
la “scelta di valersi del giudizio
abbreviato è certamente una delle più delicate, fra quelle tramite le quali si
esplicano le facoltà defensionali”. [ Corte
Cost., sentenza n. 237/12]
Ed
allora, se, come sostenuto dalla Corte Costituzionale, il consenso
dell’imputato, a cui fa riferimento l’art. 111, co. V, Cost., riguarda solo il
“materiale di indagine proveniente dal
pubblico ministero” [Corte Cost., sentenza n. 62/07], è evidente che la mancata comprensione degli atti o meglio, la errata conoscenza degli stessi, indubbiamente può rappresentare, nella fattispecie in
esame, un errore integrante una ipotesi
di forza maggiore tale, di per sé, per poter legittimare la restituzione in
termini.
In
effetti, come puntualmente rilevato in dottrina, “nel nuovo sistema processuale tutte le volte in cui la conoscenza di un
provvedimento manchi o sia viziata - sempre che ciò non sia addebitabile a
colpa dell'interessato - è riconosciuto al destinatario del provvedimento
medesimo il diritto di chiedere la restituzione del termine stabilito a pena di
decadenza; ciò comporta, data la rilevanza che il codice attribuisce alla
effettività della conoscenza quale sinonimo di effettività di difesa, l'obbligo
per il giudice di pronunciarsi nel merito” [Cass. pen., 1996, 2, 613].
Alla luce
di quanto suesposto, si invoca la rimessione in termini in favore
dell’appellante ****, il quale ora sceglierebbe consapevolmente di affidarsi al
rito ordinario/dibattimentale per contrastare le indagini svolte dal P.M..
Avv. Matteo Francavilla
Piazzale Ferdinando Martini 1 - 20137 - Milano
cell. +39.328.1031229
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mfrancavilla75@gmail.com
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